Man mano che ci inoltriamo all’interno del parco ammiriamo le varie specie di fiori, di piante e di alberi autoctoni, alcuni in via di estinzione, come l’orchidea selvaggia, che qui cresce rigogliosa (ce ne sono persino di diversi tipi). Possiamo ammirare i ciclamini selvatici, tante varietà di anemoni, l’asfodelo bianco (con le sue foglie si facevano le corde usate per chiudere la ricotta e la parte interna dello stelo si usa come pianta aromatica in cucina), la rosa canina (che è, come il pistacchio, un falso frutto e con cui si fa la marmellata più antica di Sicilia), il biancospino, l’aglio orsino (usato molto in cucina), la carota selvatica (di cui si mangiano i fiori freschi e una volta seccati si usano per preparare prodotti per la cosmesi estraendone l’olio), l’onopordo maggiore. In alcune zone crescono anche i funghi porcini (a Cesarò c’è addirittura la sagra).

Danilo ci parla anche degli uccelli e degli animali che vivono nel parco: il grifone, il capo vaccaio e aquile reali, volatili che rischiano l’estinzione ma fortunatamente qui sono ancora presenti.

Entriamo nella faggeta, sembra un bosco da fiaba, che si differenzia a seconda dell’altitudine. Ci soffermiamo in delle piazzole dove i fussuni, antichi carbonari, facevano il carbone bruciando la legna, un processo che durava diverse settimane. Dopo una lunga salita raggiungiamo, o meglio ci avviciniamo alla Strada dorsale dei Nebrodi, purtroppo oggi percorsa anche da mezzi a motore.

Salendo ci imbattiamo anche in un po’ di neve che il sole non ha ancora sciolto. Facciamo una pausa all’ombra dell’acerone, un imponente albero alto 24 metri: siamo a 1797 metri s.l.m, questo è il punto più alto della nostra passeggiata. Cominciamo a scendere fino al Lago Maulazzo, meta di molti turisti soprattutto il fine settimana.